giovedì 25 gennaio 2007

Intervista a Leopoldo Pirelli


Conversazione di EUGENIO SCALFARI con LEOPOLDO PIRELLI


La Milano degli anni Cinquanta. Lo sviluppo industriale. La contestazione. Tangentopoli. A confronto ricordi e passioni di due protagonisti


IL RIMORSO DI UN GRANDE IMPRENDITORE


Le grandi aziende hanno sostenuto di essere vittime della corruzione. Ma non è stato così: concussi sono stati solo i piccoli imprenditori I grandi avrebbero potuto denunciare il sistema. Se ci fossimo uniti nessuno avrebbbe potuto fermarci Il mio rammarico è di non aver fatto questa proposta ai miei colleghi Cuccia è un fenomeno, non saprei definirlo diversamente: un miracolo della natura, della capacità di adattamento professionale. Anche se non condivido alcune sue mosse più recenti penso che sia un compendio di storia e sono convinto che dopo di lui molte cose saranno diverse


I DIALOGHI


"E TU che fai la sera? Anche tu navighi su Internet?" e sorride un po' per compatimento e un po' per invidia presumendo che io gli risponda che sì, la sera passo il tempo navigando in rete alla ricerca di meraviglie da scoprire. Ma io rispondo che no, non sono capace, mi rifiuto con la cocciutaggine degli anziani di imparare quelle poche mosse delle dita che mi introdurrebbero nell' universo virtuale e lui, Leopoldo Pirelli, sorride quasi con riconoscenza perché a lui capita esattamente la stessa cosa, avverte lo stesso rifiuto che lo blocca alla soglia di quella rete che ormai collega e avviluppa il mondo intero. Ci conosciamo più o meno da mezzo secolo con Leopoldo, le nostre strade come i nostri caratteri sono stati radicalmente diversi, eppure abbiamo sempre ascoltato l' uno il passo dell' altro, abbiamo avuto molti amici in comune e in comune anche quasi tutti gli avversari. Quando c' era in ballo qualche grossa e controversa questione, non soltanto economica ma anche sociale e perfino politica, io cercavo di conoscere quale fosse la sua posizione prima di prender partito: mi serviva di riscontro perché Leopoldo in qualche modo interpretava l' anima d' una borghesia imprenditoriale laboriosa, innovatrice, liberale, priva di pregiudizi e portatrice anche di una forte carica sociale che per i giornali che ho fatto e diretto è sempre stata un punto di riferimento morale, politico e anche editoriale. Quanto a lui, sovente è capitato che mi raccontasse qualcuna delle difficoltà che incontrava o delle idiosincrasie che avvertiva verso personaggi del suo mondo che, secondo lui, trasgredivano all' etica imprenditoriale. E più d' una volta abbiamo perorato insieme cause comuni che ci sembravano meritevoli per il bene del Paese anche se apparivano impopolari ai tanti demagoghi che di tempo in tempo infestano le nostre contrade. Tutti e due insomma appartenevamo (lui dice: "meno attivamente di te") a quel filone che si definì dei liberali di sinistra di cui Il Mondo fu l' incubatrice intellettuale, Ugo La Malfa il rappresentante politico e la borghesia imprenditrice avrebbe dovuto costituire il punto di raccolta e il motore di avviamento. Purtroppo questo terzo elemento mancò quasi del tutto. Leopoldo Pirelli fu spesso isolato nel suo mondo ed era troppo gentiluomo per farne un caso. La responsabilità aziendale che aveva, la biografia familiare di due generazioni prima della sua e un temperamento più attento a rispettare i limiti che a superarli lo indussero più al silenzio che all' eloquenza. Apparteneva a quella tradizione lombarda abituata a impegnarsi nel far bene il proprio mestiere, convinta che fosse quello il modo migliore per contribuire in silenzio ma con tenacia al bene comune. A questa regola non è mai venuto meno anche al prezzo di figurare in seconda linea rispetto a capitani d' industria dotati di maggior glamour e di più brillanti apparenze. ("Anche il Papa - osserva - oggigiorno beatifica un monaco perché era dedito al silenzio"). Faccio queste riflessioni usando i verbi al passato perché riguardano un' epoca che è ancora abbastanza vicina al presente ma che ne è invece molto lontana e radicalmente diversa a causa delle mutate condizioni in cui ora viviamo e che hanno configurato un mondo e una società che poco hanno a che fare con quella di cinquant' anni fa o anche soltanto di venti. Peggiore? Chiedo al mio amico che ha fin qui seguito quasi in silenzio le mie parole e la memoria in esse contenuta anche perché riguardavano la sua persona da me assunta come rappresentante di una fase, di un costume e di un ceto che speravamo numeroso e combattivo per realizzare quegli obiettivi PIRELLI. Come si fa a dire peggiore? La società si modifica impercettibilmente ogni giorno ma mentre quei cambiamenti invisibili avvengono non te ne accorgi nemmeno. Poi, a un certo momento, te ne rendi conto d' un tratto e senti che quel mondo non è più il tuo. Per questo t' ho fatto la domanda su Internet. Ecco: quando leggi sui giornali o senti parlare dagli amici più giovani delle scoperte, informazioni, giochi, poste elettroniche e tutto il resto che si può trovare e produrre "on line" come adesso tutti dicono; e tu non vuoi navigare in quello spazio, perché senti invece il desiderio di fermarti, di approfondire in te stesso il modo di rispondere a tutti quei dubbi che a 25 anni non avevi, che a 50 sentivi nel sottofondo, che a 74 consideri un patrimonio perché dal dubbio nasce la ricerca in senso lato, la vera origine del progresso dell' umanità. E guardando al mondo che ti circonda, vorresti, evitando la virtualità, tornare coi piedi sulla terra solida, ai rapporti veri tra le persone, ai gesti e ai comportamenti reali e non vivere fra simulazioni, sondaggi, scommesse sulle aspettative, insomma vorresti tornare alla ricerca di una traccia di umanità e di umanesimo. Beh, allora, mi sbaglierò, ma penso che forse è avvenuto un salto di qualità che io non ho assimilato, come d' altronde mi capita ai concerti di musica contemporanea alla Scala, non con il jazz". SCALFARI. Ripeto la domanda: una qualità migliore o peggiore? PIRELLI. Non so rispondere. L' età del ferro era migliore o peggiore dell' età bronzo? SCALFARI. Credo che gli eroi omerici appartenessero ancora all' età del bronzo. Dove vuoi arrivare con questo? PIRELLI. A niente. Chi potrebbe negare quale progresso hanno portato nel nostro vivere quotidiano, l' informatica e tutta la tecnologia dell' ultimo mezzo secolo. Resta il fatto che è cambiata la nostra vita, il nostro modo di osservare i fatti, il nostro modo di giudicarli. E naturalmente, per venire ad un aspetto che è stato gran parte della mia vita, è cambiato il modo di fare impresa. SCALFARI. E tu non ti ci ritrovi. PIRELLI. Diciamo che mi ci ritrovo poco. Con questo non faccio nessuna critica a chi fa l' imprenditore in modo diverso sempreché siano salvi, come di fatto avviene da noi in Pirelli, quei principi etici che io ho sempre cercato di rispettare. Sono cambiate molte cose. Oggi - come nel passato - l' amministratore riceve il mandato di gestire dai suoi azionisti: ma io ho sempre pensato che quel mandato comportasse responsabilità verso un mondo molto più ampio, e cioè verso tutte le parti associate. Intendo dire i dipendenti tutti, come esseri umani; intendo dire i collaboratori, in particolare cercando di penetrarne la personalità, di non ignorarne i problemi, anche quelli che avevano fuori dal lavoro; intendo dire i clienti, "nos vrais patrons", come Francois Michelin li chiama nel suo libro, perché dalle loro scelte dipende il successo della nostra impresa; oppure quei clienti a cui qualche volta devi chiedere di capire i tuoi problemi, come mi successe in un lontano colloquio col giovane Giovanni Agnelli, e lui accettò il mio ragionamento che tirare troppo sui prezzi può costringere il fornitore a tagliare le spese di ricerca con un conseguente peggioramento della qualità dei prodotti; intendo riferirmi ai partners delle tue produzioni, tanto più quando il lavoro indotto rappresenta una parte importante del mondo che orbita intorno all' azienda che dirigi. Intendo anche riferirmi al rapporto privilegiato con la città di origine, ma anche con tutte quelle molte località dove si è andati, in Italia e nel mondo, a costruire degli stabilimenti. Un rapporto con tutte le diverse parti associate, che cercava di essere aperto e umano, naturalmente nei limiti della compatibilità con l' efficienza aziendale. Capisci che cosa voglio dire?. SCALFARI. Capivo, certo che capivo. PIRELLI. Non è stato così anche per te? Non è stato questo il rapporto col giornale che hai fondato?. SCALFARI. Certo che capivo. Credo anzi che in un giornale quel rapporto di patriarcalità fosse anche più intenso che non in un' azienda industriale perché da noi la materia prima erano soltanto le persone, il loro talento, le loro qualità e difetti. E le loro idee, il loro stile, la loro scrittura. Ma da noi, voglio dire in un giornale, è ancora così: anche se le dimensioni sono cambiate, i giornalisti sono centinaia e centinaia i collaboratori, tuttavia la sostanza e la natura quasi artigianale del lavoro non è molto cambiata. Nell' industria invece che cosa è cambiato? PIRELLI. Molto. Le dimensioni dei gruppi, la tecnologia, il rapporto con il lavoro. La natura del capitale. I parametri che misurano l' efficienza. Adesso si chiamano Eva. Il nome è gentile, se vuoi è quasi seduttivo: Eva, invece è la sigla di un parametro necessario ma abbastanza spietato. SCALFARI. Che significa Eva? PIRELLI. Economic value- added. Valore economico aggiunto. Il compito primario dell' imprenditore di oggi è di produrre il maggior valore aggiunto possibile. La concorrenza sfrenata, ormai globale, porta a concentrare gli investimenti per aumentare il prodotto pro capite anziché per estendere la base produttiva, a inseguire l' aumento di produttività a preferenza di ogni altra alternativa. Aggiungi che in una grande azienda quotata in Borsa il capitale è diffuso tra i risparmiatori, i fondi, le banche. Chi sono gli azionisti? L' imprenditore non lo sa. Sa soltanto che sarà giudicato in base a Eva. In più deve decidere in fretta e ogni giorno. SCALFARI. Stai descrivendo un personaggio che sembra condannato ai lavori forzati. PIRELLI. Non dico questo, le sue pause di relax le ha come le avevamo noi. Dico che il suo mondo corre il rischio di essere fatto più di parametri che di facce e di anime. Non è colpa di nessuno, ma temo che sarà sempre più così. SCALFARI. Non è un bene che sia così? Leopoldo Pirelli si stringe nelle spalle e non risponde, lo sguardo si posa sui mobili del suo studio e io seguo quello sguardo, scrivania, poltrone, un divano. L' arredamento di quell' ufficio è singolare: poltrone e divano sono ricoperti da un vecchio cuoio rosso con ampie e irregolari striature bianche, è una decorazione voluta o sono le tracce del tempo che hanno raschiato il colore? PIRELLI. Era lo studio di casa di mio padre. Quando morì l' ho preso io e non me ne sono mai separato. Come ho cercato di non separarmi dal meraviglioso esempio che mi ha lasciato. SCALFARI. Ti ricordi la Milano di quando ci conoscemmo? Raffaele Mattioli, Adolfo Tino, Valiani, Giorgio Valerio alla Edison, Carlo Faina alla Montecatini, i Borletti. Cuccia era già al timone di Mediobanca. Montanelli era già il grande inviato del Corriere della Sera. Ricordi quei tempi? PIRELLI. Noi due eravamo molto giovani. Certo che ricordo. Per me allora erano mostri sacri e mi domandavo come facessero a dedicarmi del tempo, prendendo sul serio le cose che dicevo loro. SCALFARI. Ma invece nel Sessantotto eri già in sella. PIRELLI. Sì, la responsabilità dell' azienda era già da dieci anni sulle nostre spalle: dico nostre spalle perché la direzione era formata da quattro persone: Gigi Rossari, Franco Brambilla, Emanuele Dubini e il sottoscritto che, gradualmente, essi fecero emergere come numero uno. Ma tornando al Sessantotto, per me quelli furono mesi difficili. Ricordi le manifestazioni, i cartelli, gli slogans: Agnelli Pirelli ladri gemelli. SCALFARI. Come la prendesti? PIRELLI. Come un "basso" negli alti e bassi di una vita di lavoro. In Confindustria ero considerato un acceso riformista ma sulle piazze quelle distinzioni erano saltate. SCALFARI. Tu avevi già preparato un programma sugli orari di lavoro alla Pirelli che per quei tempi sembrò rivoluzionario. PIRELLI. Era molto avanzato, sì: quaranta ora invece delle quarantasei in vigore, stesso salario, cinque giorni di lavoro alla settimana con turni anche di sabato e di domenica. Ciò che si perdeva con l' orario ridotto si riguadagnava facendo lavorare maggiormente gli impianti. Naturalmente la condizione preliminare era un' economia in espansione, altrimenti sarebbe stato impossibile. SCALFARI. Come fu accolto dai sindacati? PIRELLI. Male: il progetto fu respinto. Non ho capito a tempo che per farlo decollare, bisognava fare in modo che uscisse da un loro cassetto. SCALFARI. Pensi che l' ipotesi attuale dell' orario di trentacinque ore sia insopportabile per le imprese? PIRELLI. Credo sia una questione di organizzazione del lavoro: connettere l' orario ridotto con una maggiore flessibilità ed esaminarne l' attuazione contrattualmente azienda per azienda. SCALFARI. Quale ricordo hai dei capi sindacali di allora? PIRELLI. Ho sempre considerato la Cgil e chi l' ha guidata, Di Vittorio, Lama, Trentin e ora Cofferati, come gente seria e affidabile. Le trattative erano dure, difficili ma quando si arrivava ad una soluzione non hanno mai mancato alla parola data. Aggiungo che il sindacato ha fatto molti passi avanti sul piano della modernità, con una visione più globale e meno classista dei problemi. SCALFARI. Poi ci fu, mi pare nel ' 69, un' altra riforma che ha preso il tuo nome: la riforma dello statuto della Confindustria. PIRELLI. Sì, la Commissione Pirelli. Fino a quel momento in Confindustria tutto veniva deciso da sei o sette persone, rappresentanti delle imprese che pagavano il grosso dei contributi associativi. Ad un certo punto Angelo Costa che presiedeva la Confederazione e che era un grande personaggio capì la necessità di mutamenti. Io gli avevo da tempo esposto le mie idee e lui mi affidò il compito di presiedere la commissione di riforma. La struttura organizzativa tuttora operante viene, almeno nelle sue linee fondamentali, dal lavoro di quella Commissione. Si voleva, e si è ottenuta, un' organizzazione più democratica, che accogliesse anche le posizioni della piccola e media industria e dei giovani. SCALFARI. Sei anche tu un passionario della flessibilità? PIRELLI. Passionario no, è una definizione che non mi si addice, ma certo è meglio un' occupazione sia pure parziale, quale ne sia la forma contrattuale, che la disoccupazione. Gli Stati Uniti hanno capovolto positivamente il mercato del lavoro adottando una flessibilità massima. In Europa questo non è avvenuto ma qualche cosa si sta muovendo. D' altronde la flessibilità considerata in senso lato è un fenomeno che non tocca solo il mondo del lavoro: le famiglie diventano un' istituzione sempre più evanescente, le radici e le culture si fanno sempre più fragili, la composizione stessa delle popolazioni va mutando a causa dei movimenti migratori. SCALFARI. Non mi hai detto nulla di Cuccia. Tu lo conosci molto bene. PIRELLI. Come mai parlando di flessibilità, ti viene in mente Cuccia? Cuccia è un fenomeno, non saprei definirlo diversamente: un miracolo della natura, della capacità di adattamento professionale. Anche se non condivido - ma questo è un pensiero personale - alcune sue mosse recenti. Certo è un fenomeno difficilmente ripetibile. SCALFARI. Dopo di lui il diluvio? PIRELLI. Diluvio è una parola grossa. Cuccia è un compendio di storia: dopo di lui molte cose saranno diverse. SCALFARI. E la Banca d' Italia? PIRELLI. è già profondamente cambiata con la nascita dell' euro e della Banca centrale europea. SCALFARI. Hai conosciuto da vicino i Governatori della Banca? PIRELLI. Carli, ma non molto. Ebbi simpatia e fiducia in Baffi. Ho avuto grande e affettuosa intimità con Ciampi che in occasioni difficili mi è stato prodigo di consigli e di sostegno. Ciampi è persona a cui tutto il Paese deve moltissimo. SCALFARI. Non ti è mai venuto il desiderio di scrivere un libro di memorie? Ne avresti di cose da raccontare. PIRELLI. Sì, m' è venuto. Ma l' ho scartato. A che cosa sarebbe servito? SCALFARI. A trasmettere un' esperienza, direi. PIRELLI. Hai ragione, trasmettere un' esperienza. Ma trasmettere ad altri la propria esperienza è impossibile: le esperienze d' una persona sono soltanto sue, i contesti in cui si sono svolte sono irripetibili. Forse puoi trasmettere un esempio, ai figli, a chi ha lavorato con te. Nella mia cerchia questo è avvenuto. E poi ciascuno deve vivere la propria vita. SCALFARI. Mi dici qual è stato il tuo maggior rammarico? PIRELLI. Credo d' aver lavorato con coscienza, con qualche buon risultato ma facendo anche errori; senza portarne rimorsi però, perché credo di aver agito sempre in buona fede. O meglio, un rimorso c' è. Riguarda il periodo di Tangentopoli. SCALFARI. Mi sorprendi. PIRELLI. E perché? Tu sai che alcuni imprenditori hanno sostenuto di essere stati in qualche modo costretti a pagare partiti, uomini politici, pubblici amministratori, altrimenti le aziende non avrebbero potuto lavorare. Hanno sostenuto cioè d' esser stati vittime di una concussione generalizzata. SCALFARI. Non è stato così? PIRELLI. No, non è stato così. Concussi sono stati i piccoli imprenditori costretti ad allungare il milione o i dieci milioni al vigile urbano o al finanziere o all' assessore per ottenere una licenza o un favore fiscale. Ma non le maggiori imprese del Paese. Se una decina di grandi aziende avessero insieme denunciato la corruzione che era diventata sistema, nessuno avrebbe potuto impedircelo e schiacciarci, tutti insieme eravamo forti a sufficienza per schiacciare quel malcostume. SCALFARI. Come mai non è avvenuto? L' hai proposto agli altri tuoi colleghi? PIRELLI. No, è per questo che sento rimorso. Poi è arrivata la magistratura. Nonostante errori e interventi a volte discutibili, io penso che il giudizio storico sul comportamento della magistratura sarà positivo.


la Repubblica - Mercoledì, 27 ottobre 1999 - pagina 1


 

venerdì 5 gennaio 2007

Il Cavalier Bonaventura


Famiglie e finanza. Nel 2006 Le finanziarie che controllano il 61% di Fininvest hanno segnato un utile di 135 milioni.


Cedola record per Berlusconi

Il Cavaliere incassa un assegno di 215 milioni di euro tra profitti e riserve.




I NUMERI DELLE CASSEFORTI

Quattro holding hanno in cassa disponibilità liquide per 270 milioni di euro.

Versati 450mila euro in opere di beneficenza

LO «SCRIGNO» DEI FIGLI

Nell’ultimo anno anche le società che fanno capo a Marina e Piersilvio hanno distribuito un dividendo complessivo di 32 milioni


Marigia Mangano


Il Sole 24 ore 4 gennaio 2007


 


Il 2006 sarà ricordato per due motivi da Silvio Berlusconi: sul fronte politico è stato l’anno che ha segnato il passaggio all’opposizione, sul fronte finanziario quello che ha regalato un record assoluto alle «entrate personali» del Cavaliere. Nel 2006 l’assegno staccato dalle quattro holding di proprietà diretta di Berlusconi (la holding italiana prima, seconda, terza e ottava che controllano il 61,13% della Fininvest) è stato pari a 215 milioni di euro, il doppio rispetto a un anno prima. Un prelievo «importante» se si pensa che nel 2005 l’intero “sistema holding”, formato dalle sette casseforti che custodiscono il 100% del gruppo di via Paleocapa, ha distribuito alla famiglia 141 milioni di euro a fronte di un utile di 172,9 milioni (nel 2004 il monte dividendi aveva raggiunto appena i 79 milioni di euro). La decisione di fare cassa (seguita anche da Piersilvio e Marina che nel 2005 avevano invece rinunciato al dividendo) non ha prosciugato le riserve liquide delle holding del Cavaliere che possono ancora contare su 270 milioni di euro depositati in banca.


Maxidividendo al Cavaliere

Ad Arcore la scelta è stata duplice: distribuire integralmente gli utili (record) macinati dalle sette finanziarie che controllano la Fininvest e attingere alle «riserve» disponibili. Quanto basta per far sì che il 2006 sia ricordato in casa Berlusconi come l’anno delle maxi cedole. Le quattro holding del Cavaliere hanno inanellato un altro record storico sul fronte dei dividendi e dei profitti. Nel 2006, tutte insieme hanno registrato un utile di 135 milioni contro i 106 milioni del 2005. Ma a esplodere sono state le cedole: 215 milioni a titolo personale contro i 107 milioni dello scorso anno. La holding italiana prima per esempio, a cui fa capo il 17,5% della Fininvest, ha segnato un utile di 41,4 milioni, ma ha distribuito al Cavaliere 64,9 milioni, attingendone una ventina di milioni dalla riserva straordinaria. Copione simile per le altre holding personali: la holding italiana seconda ha archiviato il 2006 con un utile di 33 milioni, ma ne ha distribuiti 54,9; la holding italiana ottava ha registrato profitti per 45 milioni, ma ha staccato una cedola di 84 milioni. Solo la holding terza, a fronte di utile di 16 milioni, ha versato nelle casse del Cavaliere solo 11,7 milioni.


Cedola a Marina e Piersilvio

La scelta di «fare cassa» è stata seguita anche dai figli Piersilvio e Marina che hanno incassato 16 milioni a testa a fronte di un utile complessivo della due holding di proprietà (holding italiana quarta e holding italiana quinta) pari a 32,3 milioni. Questo dopo che lo scorso anno gli stessi avevano rinunciato alla cedola, accantonando i 13 milioni di utili registrati dalle loro holding nel 2005. Non solo. Le due finanziarie hanno registrato ottimi risultati anche sul fronte delle gestioni patrimoniali affidate a Morgan Stanley e a Banca Arner.


Per la holding italiana quinta di Piersilvio, il saldo delle operazioni su titoli e cambi è stato positivo per 740 mila euro, mentre la finanziaria che fa capo a Marina ha segnato un saldo positivo per 300 mila euro. Mancano all’appello, in quanto i documenti non sono stati depositati, i numeri della holding italiana quattordicesima che fa capo ai tre figli più piccoli di Berlusconi, Eleonora, Luigi e Barbara,

Parte immobiliare Dueville


Tra le altre curiosità dei bilanci emerge, inoltre, che neocostituita Immobiliare Dueville sembra ora pronta a concretizzare qualche mossa nel mondo immobiliare. La società, infatti, nata alla fine del 2005 ha messo in cantiere un aumento di capitale di 1,5 milioni di euro a cui la holding italiana prima e la holding italiana ottava, che detengono il 30% ciascuna del capitale, hanno partecipato versando 450 mila euro a testa. Infine, il capitolo donazioni. Nei bilanci di riferimento delle quattro holding del Cavaliere si scopre infatti che anche lo scorso anno sono proseguiti gli «aiuti» nei confronti degli enti no profit. La holding italiana prima, per esempio, ha versato attraverso la Comunità Incontro di don Pierino Gelmini 350mila euro a sostegno delle popolazioni del Sudest Asiatico, mentre per la holding ottava l’assegno è stato di 100mila euro.