Marco
Travaglio
Le
pantomime degli on. avv. Ghedini
e Longo
al Tribunale di Milano (ricusano i giudici del processo
Mills
che tagliano tre testimoni della difesa; si levano la toga ed escono
platealmente dall’aula del processo
Ruby
perché i giudici non accolgono gli “impedimenti istituzionali”
del loro cliente ormai disoccupato) appartengono ormai alla commedia
dell’arte. Ma testimoniano anche la stravagante concezione del
diritto che regna in Italia da 18 anni, da quando B. entrò in
politica per non finire in galera e rispettò scrupolosamente
l’impegno. Da allora destra e sinistra si sono scatenate in un
centinaio di “riforme della giustizia” che, con la scusa di
sveltire i processi, li allungavano per mandarli in prescrizione.
Questa,
da “agente patogeno” della giustizia come l’ha definita ieri il
presidente della Corte d’appello di Milano Giovanni
Canzio,
è diventata un diritto acquisito per politici e compari. Ha salvato,
negli anni, Andreotti
dal
processo di Palermo per mafia, poi D’Alema
dall’accusa
di un finanziamento illecito dall’imprenditore malavitoso Francesco
Cavallari, poi
B.
nei processi Mondadori (corruzione giudiziaria), All Iberian
(tangenti a Craxi) e in altri tre per falso in bilancio. E ora lo
salverà certamente nel processo Mills (corruzione giudiziaria), non
si sa ancora se subito prima o subito dopo la sentenza di primo
grado. Alcuni giornali, tipo i suoi, scrivono stravaganze, tipo che
il Tribunale calpesterebbe i diritti della difesa per “correre” e
arrivare a una condanna purchessia. Il verbo “correre”, per un
dibattimento iniziato il 13 marzo 2006 e non ancora giunto alla prima
sentenza, è una barzelletta. Qui l’unico che corre è B.,
ma per scappare.
Ora s’è inventato, per giustificare la ricusazione, che i giudici
avrebbero “anticipato il giudizio di colpevolezza” escludendo in
extremis tre dei suoi testimoni. In realtà i giudici sono
liberissimi di tagliare tutti i testi che vogliono quando vogliono,
se li ritengono superflui: è probabile che – dopo sei anni di
processo e una sentenza di Cassazione che ha già accertato la
corruzione di Mills da parte di Fininvest nell’interesse di B. –
si siano già fatti un’idea su B. Ma non hanno mai detto quale,
dunque la ricusazione non sta né in cielo né in terra.
Come
giustamente osserva il vicepresidente del Csm Vietti
(ogni tanto ne dice una giusta anche lui), il giudice deve fare di
tutto per scongiurare la prescrizione, visto che è pagato per
accertare la verità processuale. Ma B. ha un sistema infallibile per
far reintrodurre i suoi tre testi, peraltro superflui: rinunciare
formalmente alla prescrizione per essere giudicato oltre i termini
(da lui stesso accorciati da 15 a 10 anni con l’ex Cirielli).
Perché non lo fa? Perché nessuno lo invita a farlo? Un politico
accusato di un reato tanto grave non può incassare la prescrizione
con mezzucci indecenti,
soprattutto se ritiene di essere innocente.
Il guaio è che qui, se c’è uno che anticipa la colpevolezza di
B., è lo stesso B. Lui sa benissimo di essere colpevole: per questo
è tanto sicuro di essere condannato.
Dopo gli appelli di
Vietti, di Canzio e del primo presidente della Cassazione, laprescrizione
è tornata al centro del dibattito, perché falcidia 160-200 mila
reati all’anno. La soluzione è semplicissima: abrogare la Cirielli
e allungare la prescrizione (come raccomandano Corte di Strasburgo e
Osce), e uniformare il sistema italiano a quello delle democrazie più
evolute, dove la prescrizione si ferma al rinvio a giudizio. Ma B.
non vuole. Infatti ieri la ministra Severino,
farfugliando di “efficienza della giustizia”, ha detto che “la
prescrizione non è una priorità”: è quel che pensano anche
decine di suoi ex clienti, che la aspettano con ansia per mandare in
fumo i loro processi. E Bersani,
nell’intervista al Messaggero
sulla giustizia, di prescrizione non parla (preferisce attaccare le
intercettazioni). Poi chiede agli alleati di smetterla di accusarlo
di “inciucio”. Forse potrebbe aiutarli smettendola di
inciuciare.
(29 gennaio 2012)
(29 gennaio 2012)